Alcuni consigli per imparare a comunicare in modo efficace con i bambini fin da piccoli
“Se i genitori non aiutano i bambini a tradurre in parole i loro sentimenti o, peggio ancora, li ignorano, questi non saranno in grado di sviluppare un’adeguata capacità di accettare i propri stati mentali negativi, finendo per negarli o per cercare sempre più conferme all’esterno” A. Bortolotti
Educare con empatia significa mettersi in ascolto dei propri figli e dunque, da genitori, eliminare la tipica frase “…perché te lo dico io” sostituendola con un tipo di comunicazione empatica e positiva che prenda in considerazione il bambino o la bambina, i suoi bisogni e le sue emozioni.
Che tipo di linguaggio possiamo usare allora?
Sicuramente non quello delle minacce basato su premi e punizioni.
Infatti, premi e punizioni sono una metodologia che lavora solo in superficie in quanto si tratta di condizionamenti, se minacci tuo figlio agirà per paura di ciò che gli potresti fare o per vincere un premio, ma cosa avrà imparato da questo metodo che usi con lui? Probabilmente imparerà la vendetta e peggio ancora ad infliggere ed infliggersi dolore (che non è altro che la via del bullismo o dell’autolesionismo). Non solo, proverà dipendenza verso una ricompensa, il bisogno di complimenti e approvazioni (molto lontani dalla vera felicità scaturita dalla fiducia in se stessi e dall’autostima).
Ma nella pratica, nel quotidiano, come può comportarsi quindi un genitore?
È fondamentale entrare in sintonia con il proprio figlio cambiando il linguaggio che usiamo con lui e soprattutto non urlare e non alzare le mani (che sono entrambi forme di violenza e che insegnano a “risolvere” il problema con la violenza).
L’adulto può invece mettersi accanto al bambino con la consapevolezza che se ha avuto un cattivo comportamento alla base c’è un motivo, un bisogno, una richiesta di attenzione, una difficoltà a gestire le sue emozioni e a comunicarle.
Sta a noi adulti il compito di decifrare il suo comportamento e riflettere sui motivi che lo hanno indotto, con la ferma consapevolezza che non si tratta di un “capriccio” ma di un disagio.
Le neuroscienze ci spiegano che i bambini, soprattutto fino ai 3 anni, non hanno ancora sviluppato una sufficiente capacità di regolazione delle proprie emozioni in modo autonomo, soprattutto quelle più intense. Diventa fondamentale quindi utilizzare con loro quello che viene chiamato “rispecchiamento emotivo” in cui l’adulto instaura un dialogo basato sulla comprensione che rassicura e aiuta il bambino a dare un nome all’emozione che ha provato. Dobbiamo riuscire a passargli il messaggio che ciò che ha provato è legittimo ma il suo comportamento invece può essere migliorato con il nostro aiuto, mostrandogli alternative possibili, provando a capire assieme cosa si può fare se succede di nuovo una situazione simile, e questo vale anche per i bambini più grandi.
In questo modo il bambino non si sentirà “sbagliato” perché magari si è gettato a terra urlando ma accettato dall’adulto che lo abbraccia, che lo contiene, che lo rassicura, che lo ama incondizionatamente. Imparerà così che la mamma e il papà non lo amano di più o di meno in base a come si comporta, lo amano sempre per il suo essere, indipendentemente da ciò che fa o non fa.
Come utilizzare il “rispecchiamento emotivo”?
La prima cosa da fare, che inizialmente sarà anche la più difficile, ma con un po’ di allenamento andrà sempre meglio, è mantenere la calma. Dimostrati calmo davanti al bambino e prova ad entrare in empatia con lui, dialoga cercando di tradurre con parole semplici le emozioni che sta provando, verbalizzando l’accaduto come in questi esempi:
– Vedo che sei molto arrabbiato. Tua sorella ti ha preso il tuo gioco con cui stavi giocando e quindi l’hai morsa. Capisco come ti senti ma non va bene mordere perché fa male. La prossima volta prova a dirglielo a parole “Ora ci sto giocando io, quando ho finito te lo presto”.
In questo modo aiuti il bambino a dare un nome a ciò che ha provato, ad accettare i suoi sentimenti e a separarli dalla sua reazione inadeguata, dando anche un modo alternativo di reagire se succede ancora.
– Vedo che sei triste e vorresti rimanere dai nonni ma adesso è proprio ora di andare. Ti stavi divertendo tanto ma è tardi ed è ora di andare a letto. Domani telefoniamo ai nonni e ci mettiamo d’accordo per rivederci e giocare ancora insieme.
Così facendo accogli i sentimenti di tuo figlio, mostri comprensione e che per te i suoi desideri sono importanti.
– Queste scarpe sono troppo leggere e fuori piove. Però puoi scegliere tra gli stivaletti e gli scarponcini, quali vuoi?
Dopo aver spiegato un no è utile fornire alternative tra almeno due opzioni, questo aiuta il bambino perché sente riconosciuto il suo desiderio di indipendenza.
Cosa potrebbe succederebbe se non accogliessimo il bambino in questi momenti di “crisi”?
Se tuo figlio o figlia vede che ti arrabbi di fronte alle sue reazioni potrebbe spaventarsi e pensare che non lo ami, che è un bambino “sbagliato”. Invece, se vede che accetti le sue emozioni, anche quelle più forti, non le ignori ma anzi le riconosci e le affronti, questo lo farà sentire più sicuro e gli sarà più semplice gestire tali situazioni anche da grande perché avrà imparato.
Se però, come può capitare, perdi la pazienza e reagisce in modo irrazionale, è importante recuperare la calma il prima possibile e rassicurarlo spiegandogli che anche la mamma o il papà a volte fanno fatica a gestire le emozioni forti, ma che il tuo amore per lui non cambierà mai.
Perché allontanare il figlio nel momento di “crisi” non lo aiuta?
Come ormai avrai capito, i bambini nei momenti di “crisi” hanno bisogno di un adulto che li conforti, rifletta e commenti ciò che accade loro, se invece li allontaniamo e li lasciamo soli,non possono imparare a calmarsi e dunque nel tempo ad autoregolarsi.
Se allontani tuo figlio perché si è comportato in modo sbagliato, lì per lì magari fermi il suo comportamento ma al tempo stesso gli procuri stress e frustrazione, non gli insegni un modo costruttivo ed efficace per affrontare le difficoltà ed i problemi (gli stai passando il messaggio che dal problema meglio scappare), lo privi della relazione con te e, nel lungo periodo, contribuisci a far crescere in lui insicurezza.
L’allontanamento è detto anche “time out” ed è un metodo disciplinare di tipo cognitivo-comportamentale che si usa come tecnica di controllo. L’allontanamento consiste nel far sedere il bambino o la bambina in un luogo a parte, senza nessunovicino, senza giochi a disposizione, e spesso con l’ordine di “pensare a ciò che ha fatto”.
Questo metodo viene utilizzata sia nelle strutture educative che tra le mura domestiche.
Oltre a tutto quello che abbiamo già detto, questa tecnica non considera un aspetto fondamentale ovvero che i bambini fino ai 6 anni non possiedono ancora le competenze cognitive per riflettere sulle proprie azioni, quindi la frase “mettiti lì e pensa a ciò che hai fatto” non è per loro possibile.
Lo sapevi che invece del “time out” puoi usare il “time in”?
Il “time in” è una valida alternativa, soprattutto nelle strutture educative. Viene creato uno spazio dedicato ai momenti di crisi in cui i bambini possono recarsi per ritrovare la calma e la serenità. Non si tratta però di un luogo punitivo ma di accoglienza. Infatti, in questo “angolino” si possono mettere oggetti, libri, giochi e cuscini che aiutano a sentirsi a proprio agio e a tranquillizzarsi. L’educatore può, soprattutto le prime volte o con i più piccoli, rimanere lì accanto in modo da favorire la ripresa del controllo emotivo.
Perché è importante usare un approccio empatico fin da piccolissimi?
L’approccio empatico ti permette di dimostrare a tuo figlio rispetto per la sua persona, fin da piccolo. Al posto di arrabbiarti, urlare e punirlo, con la comunicazione empatica gli insegni che il dialogo e la comprensione portano alla consapevolezza, al rispetto e all’amore reciproco.
Nel lungo tempo questo porterà tuo figlio ad autoregolarsi, ad avere fiducia in se stesso e di te come genitore.
Questo faticoso percorso, perché ammettiamolo non è certo una passeggiata, porterà frutti anche nel lungo periodo, anchenell’adolescenza. Aver costruito fin da piccolo un dialogo con tuo figlio o tua figlia vi permetterà di dialogare, confrontarvi e fare patti basati sulla fiducia ed il rispetto reciproci, senza punizioni e ricatti.
Debora e Valentina – Officina delle Idee